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Visualizzazione dei post da luglio, 2014

Neurotopia

  Neurotopia - Giovanni Sicuranza   Well, inizia, Orson Welles, Sto per spezzargli la frase, sto per dirgli che non mi chiamo Orson, nemmeno sono lontano parente di Welles, però la sua espressione non cambia, è assorta, lontana, è dispersa nel tempo e nello spazio; non parla davvero a me, cioè, parla anche a me, come parla al mondo, ed è così che rimango in silenzio, concentrato ad ascoltarlo nel tempo e nello strazio del suo monologo. Il punto, ecco, il punto è che io starei attento a definire idioti gli altri, già; e qui socchiude le palpebre canute e intanto inspira refoli di pipa, e continua solo dopo una mia deglutizione in serie da tre; il punto è che ognuno di noi pensa che gli altri siano idioti e nessuno sembra rendersi conto che, se così fosse, nessuno sarebbe salvo dall'idiozia. Well, tuffa i polmoni nella pipa e ripete, Orson Welles, Orson Welles, sussurro io in coro, come alla recita di un mantra di cui non importa conoscere il significato, e lui è un sace

Infine - Sotto la terra qualcosa campa

Sotto la terra qualcosa campa - infine - Giovanni Sicuranza   Diamogli un nome, tipo Ernesto, e facciamolo ciondolare in sincronia con i sussulti dell'autobus 17, imbottito di sudori, babele di parole imprecate, urlate al cellulare. Il display  nero sopra la farmacia della piazza ha un rosso acceso, quasi fuoco, in accordo con la temperatura esterna, che, dice, è di 37 gradi. L'autobus, fermentato dalla gente, i finestrini aperti in suppliche d'aria, è delirio a 40 gradi. Ernesto, lo vediamo, suda così tanto che sembra una statua sotto una cascata. Una statua pallida, di marmo ferita. Ernesto pensa, ci prova almeno, perché al suo interno la temperatura sta sparando oltre i gradi della speranza, pensa che ancora una fermata, una sola, e sarà arrivato infine alla sua cantina, al suo loculo sotto il livello d'asfalto, dove la terra è fresca di vino. Diciamo che è questo il momento in cui Ernesto muore, muore davvero, così, all'improvviso, anche se la presa riman

D'anima

D'anima - Giovanni Sicuranza Cerchi l'anima gemella, gli chiedo, e mica aspetto la risposta. Sono diventata più brava a disfarmi dei corpi di questi adoratori del metafisico, ora ci metto sette minuti sette da quando gli sparo in bocca a quando avvolgo la loro carne nel sacco dell'indifferenziata. Gettarla nell'organico sarebbe meglio, certo, ma prima dovrei svestirli, disossarli, questi uomini alla ricerca dell'impalpabile, e, no, sette minuti per celarli nella cerata scura, vestito funebre, cinque per trascinarli sotto la magia delle stelle, e chiedere se hanno ancora un desiderio, così, uniti fino all'auto, poi venti minuti per raggiungere la bocca mefitica, uterina, della fossa di Lavrange e lasciarli a imputridire nei gas della terra madre.  Credo sia già un buon servizio per riporre i desideri nella giusta prospettiva.  Cercano l'anima gemella, mi dicono i miei appuntamenti galanti, e qualcuno ci crede davvero, imbevuto di esalazioni alla

Ah, venire ...

Ah, venire ... Giovanni Sicuranza Non sono un sandwich, tesoro, muovilo bene, quel salamino.  Ecco, dico, il motore che mi si spegne dentro, il testosterone che batte in ritirata nel profondo dello stomaco; proprio a me, dico, doveva capitare questa.  "Questa" intanto mi guarda e sorride, lo fa nel modo fottuto che conosce la donna quando vuole annientare ogni pretesa di supremazia del maschio,  verso l'estinzione di una scopata.  Ti ho anche pagato, troia, le urlo addosso, potente come un'eiaculazione, ma lei mica mi sente, lei è un sorriso rigonfio, compatito, e poi appassito. Ammuffito. Ed io riesco ad urlare solo nella mente, dico, come si fa a dare della troia ad una ragazzina che nemmeno avrà la metà della metà dei miei anni, potrebbe essere mia figlia, con quegli occhi potrebbe.  Muoio.  Beh, fa lei, o almeno credo.  Sono troppo altrove, adesso. Mia figlia.  Oddio.  Ti dai una mossa, rincara "questa", devo andare a scuola.  Mia figlia

Logos

Giovanni Sicuranza dialoga con i suoi personaggi e, persino, con lettori eventuali Vi aspetto domenica 20 luglio, alle ore 14.00, presso l'agorà del Centro Meridiana di  Casalecchio di Reno . Ognuno paga la sua consumazione, sia chiaro, forse offro l'ultimo giro, ma solo se siete meno di tre, diciamo tendenti allo zero.  Grazie per adesso, anche a nome dei miei personaggi. Gradita conferma a commento qui, alla mail homointerrogans@gmail.com, al numero di cellulare, a mezzo stampa. No Raccomandate A.R., grazie.

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"U na delle sfide più difficili per l'uomo?  Credo che sarà riuscire a disconnettersi " Giovanni Sicuranz erberg

In rigor mortis

In rigor mortis - Giovanni Sicuranza Il bambino è morto e, stupito, si chiede come mai, con occhi grandi nel cielo, non gli interessano più le nuvole. Il tramonto è freddo e giace sul selciato pallido di ghiaia. I rami se ne stanno tutti intorno, chini di lutto e insensibili al vento, saldi come braccia di rigor mortis. Gli uccelli se ne vanno, infine, alti e neri e lontani, così lontani che già paiono mosche.

Condizione necessaria, ma non sufficiente.

Occorre chi sa scrivere.  Poi accorre chi sa leggere? 

Una pietra non fa rumore

Una pietra non fa rumore - Giovanni Sicuranza Trova divertente vedersi come un barbiere d'autostrada, se lo ripete anche quando non ha voglia di sorridere, anche quando prende in mano la pietra e sa,  sa che una pietra uccide senza fare rumore.  Attese da cavalcavia, solitarie, sudate, con il sasso frastagliato mano nella mano, fino a quando scorge le teste al volante, mira ai capelli, all'attaccatura del capelli, almeno ci prova, e tira, comunque tira.  E' un lavoro in nero, questo di barbiere d'autostrada, nell'ombra tra l'attimo della vita e l'attimo del nulla più.  Il cielo si sbriciola al suono di clacson increduli, ai versi di dolore di lamiere accartocciate, e lui ha concluso la giornata.  Torna a casa, cupo, vuoto e sa che,  che  l a morte fa rumore.  Le urla dell'agonia, di chi si ferma appena in tempo, il pianto dell'ambulanza.  Una pietra uccide senza fragore,  una pietra disdegna l'intimità della lama.